Il bene si fa ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima e non alla giacca.
Questa é la frase pronunciata dal celebre ed immortale Gino Bartali Campione indiscusso del ciclismo, ma soprattutto, esemplare modello di misericordia verso tanti Ebrei salvati in epoca fascista grazie alla sua bicicletta.
Infatti, Bartali trasportava (per conto del Vescovo di Firenze Elia Dalla Costa) sotto il telaio della bicicletta da cui si accedeva staccando il sellino, fotografie e altre carte necessarie a fabbricare documenti falsi destinati a centinaia di ebrei da salvare.
Quando il gerarca fascista Mario Carità intercettò le lettere, indirizzate a Bartali, che provenivano dal Vaticano ringraziandolo per il suo aiuto, il campione venne convocato a Villa Trieste, luogo notorio di torture ed uccisioni sommarie, per conoscere i motivi di queste lettere.
Affrontato il primo interrogatorio e discolpandosi dalle accuse di tradimento, il campione trascorse due giorni in cella ed a seguito di ulteriore domande insistenti venne salvato da un ufficiale, il quale sosteneva di conoscere Bartali come un uomo sincero. Così venne liberato.
Solo negli ultimi anni della sua vita il sig. Bartali raccontò questa storia al figlio pregandolo di non divulgarla, citando la famosa frase: il bene si fa ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima e non alla giacca.
Oggi, alcuni personaggi locali sono impegnati a sbandierare “azioni di memoria” perdendo di vista le autentiche lezione di umiltà, dando così ragione al filosofo Hegel quando esclamava: Tutto ciò che l’uomo ha imparato dalla storia, è che dalla storia l’uomo non ha imparato niente.